Molto spesso, per mancanza di tempo e pressanti impegni lavorativi, ci troviamo obbligati ad affidare i familiari più anziani a uno/a sconosciuto, spesso selezionato con troppa superficialità. Per evitare che i nostri cari siano vittime del cd. “reato di circonvenzione di persone incapaci” è opportuno affidarsi ad agenzie di investigazioni per valutare preventivamente il curriculum e la reale affidabilità dei badanti ai quali richiediamo di occuparsi dei nostri parenti.
Ma sulle cronache giudiziarie si leggono purtroppo numerosi casi come quello della Signora Maria nata nel 1924 e la sua “cara” e giovane badante Angela.
Tra Angela e Maria nasce un rapporto di confidenza e fiducia reciproca. Nonostante abbia superato gli ottant’anni, la signora Maria gode di una discreta salute e, soprattutto, è ancora nel pieno delle sue capacità cognitive. Maria, ufficialmente, non è sola: ha dei nipoti. Ma è Angela a occuparsi totalmente dei bisogni della sua assistita. Pian piano Maria trova, in quella ragazza del Sud, la figlia che non ha mai avuto: decide, dunque, di cointestarle il conto corrente, dal quale Angela effettua periodici prelievi, in parte per pagare i propri compensi e in parte per i fabbisogni dell’anziana. La loro vita, intrecciata da obblighi lavorativi e sentimenti di affetto, prosegue fino al 2010, quando Maria decide di far testamento e di nominare la badante erede universale del suo patrimonio. Al notaio, cui aveva affidato le sue volontà, – e sentito in Tribunale come teste – l’anziana donna dichiarerà di “essersi sentita molto sola nella vita e di voler fare testamento per riconoscenza verso chi l’ha accudita per anni”. Alla morte di Maria, intervenuta dopo un breve ricovero ospedaliero, quei parenti che per anni l’avevano abbandonata ai fantasmi della sua solitudine, appresa la notizia della loro esclusione dal patrimonio ereditario, denunciano Angela del reato di circonvenzione di incapace, costituendosi parte civile nel relativo processo.
La badante, in primo grado, è condannata alla pena di due anni di reclusione. Ma la Corte d’Appello di Torino, nel 2016, accertata la lucidità e la consapevolezza delle scelte di disposizione del proprio patrimonio da parte dell’anziana signora, assolve, per insussistenza del reato, Angela riconoscendole il diritto a ricevere l’eredità. Decisione, oggi, confermata dalla Corte di cassazione.
Investigazioni private: utili per valutare preventivamente il curriculum…
La sentenza mette in luce uno degli aspetti che maggiormente si verifica quando l’atto di disposizione dell’anziano – per testamento o per donazione – sia destinato a un soggetto diverso dal familiare ma sia a beneficio di colui che quotidianamente lo accudisce e si prende cura dei suoi bisogni: la presunzione che l’anziano sia stato vittima di un raggiro o di una coartazione. Occorre, infatti, dimostrare, anche attraverso lo svolgimento di idonei accertamenti investigativi, che possono essere affidati dai prossimi congiunti ad investigatori privati, la sussistenza, in capo al disponente, di un certo grado di debolezza psichica tale da ridurre il ragionamento critico e di consentire il compimento di atti che, in condizioni normali, non sarebbero stati posti in essere.
Ma il prossimo congiunto, ove con comportamenti concludenti abbia manifestato un evidente disinteresse verso i bisogni quotidiani, materiali e morali, del familiare, avrà difficoltà a ottenere la revoca a suo favore delle disposizioni patrimoniali dell’anziano, a meno che non venga provata l’incapacità di intendere e di volere (la c.d. incapacità naturale) del disponente al tempo del compimento dell’atto dispositivo.
Sul versante penalistico, infatti, affinché possa configurarsi il reato di circonvenzione di persone incapaci, non è necessario che la vittima sia dichiarata interdetta o inabilitata ma è sufficiente che la stessa si trovi “in una minorata situazione” e sia quindi incapace, anche in ragione dell’avanzata età e non necessariamente per qualche patologia psichica, di “opporre alcuna resistenza a causa della mancanza o diminuita capacità critica”, oggettiva e riconoscibile da parte di tutti “in modo che chiunque possa abusarne per raggiungere i suoi fini illeciti”. Si tratta di un’ipotesi molto circoscritta, denotativa di un rapporto squilibrato di tipo succube/incube tra il circonvenuto e l’autore della condotta illecita. Occorre, infatti, dimostrare, che il badante abbia indotto o induca l’anziano a compiere un atto che procuri a sé o altri un effetto giuridico dannoso; e che tale induzione avvenga mediante l’abuso dello stato di vulnerabilità della vittima, che si verifica quando l’autore della condotta criminosa, ben conscio della vulnerabilità del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il suo fine ossia quello di procurare a sé o ad altri un profitto[1].
È quanto affermato dalla Corte di cassazione con riferimento a una vicenda giudiziaria per certi versi simile alla precedente, perché riguardante il rapporto tra badante e anziano sottoposto alle sue cure, ma totalmente diversa sotto il profilo affettivo ed emotivo.
È la storia di un’altra donna, badante di professione e di un’altra anziana, che a differenza della signora Maria vive una dimensione di solitudine più intensa, quella della mente. La badante, condannata per il reato di circonvenzione di incapace, è stata ritenuta colpevole di aver indotto l’anziana assistita a redigere testamento olografo in suo favore, pochi giorni prima del decesso, facendolo pubblicare con atto notarile.
Per il Giudice, nelle ipotesi in cui parte offesa del delitto di cui all’art. 643 c.p., sia una persona affetta da una grave forma di deficienza psichica (anche a causa dell’età avanzata) che la privi gravemente della capacità di discernimento e di autodeterminazione, l’induzione al compimento di atti a sé sfavorevoli può essere presunta quando provenga da un soggetto che non abbia nei confronti della vittima alcun particolare legame di natura parentale, affettivo o amicale (come può accadere per il badante), potendo consistere anche in un qualsiasi comportamento o attività da parte dell’agente (come ad es. una semplice richiesta) alla quale la vittima, per le sue minorate condizioni, non sia capace di opporsi e la porti, quindi, a compiere, su indicazione dell’agente, atti che, privi di alcuna causale, in condizioni normali non avrebbe compiuto e che siano a sé pregiudizievoli e a lui favorevoli.
[1] Cfr. Cassazione sent. 28907/2014